Eccellente recensione di «Chaos Variation VII» di Obsolete Capitalism / Zafer Aracagök / SIFIR di Giuseppe Molica, sul numero 11 di Kuwomba, rivista online di critica musicale.
KUWOMBA/MOLICA :: Dissonanza:
«in musica, virtù attribuita dal senso tonale (variabile nel tempo) ad alcuni intervalli o accordi di produrre un effetto di insoddisfazione, di tendenza al movimento»
Questa definizione non viene da chissà che vocabolario o enciclopedia, di quelle che è il caso di citare sempre, ma molto più banalmente viene fuori cercandola su Google: e se dismettiamo i vestiti ideologici che ci vogliono rispondere sì a delle definizioni, ma dettate dai Grandi Istituti Riconosciuti che ne riconoscono l’uso ormai accettato, possiamo trovare e riconoscere che queste definizioni, e lo stesso riconoscimento di parole all’interno di vocabolari, più che essere fondati su un vago utilizzo maggioritario, subiscono anch’esse delle mediazioni. Rappresentare il rappresentato, con il linguaggio ci troviamo spesso in mezzo al circo(lo) delle mediazioni, fondamentale per giustificare l’esistenza di una lingua.
E dunque Google, uno dei gran rappresentanti del consumo[1], ci dice che la dissonanza è la virtù di produrre insoddisfazione, tendenza al movimento. Fornendoci così una bella definizione dissonante, a leggerla letteralmente.
Pare infatti che esista una virtù – “disposizione d’animo volta al bene” – capace di produrre insoddisfazione – “scontentezza, rammarico, delusione” – ovvero di tendenza al movimento – “spostamento associato a funzionalità o dinamismo”.
Possiamo inferire così che il movimento porti con sé insoddisfazione, o piuttosto che nasca da un’insoddisfazione? Se evitiamo di scadere in una moralità eudaimonica potremmo utilizzare questa informazione per quello che si dà: se siamo insoddisfatti, ci muoveremo (o almeno tenderemo a farlo), se ci stiamo muovendo dovremmo chiederci se siamo stati spinti dall’insoddisfazione.
Le Chaos Variation del collettivo Obsolete Capitalism sembrano essere una risposta sonora a questo imposto bisogno d’ordine: un progetto sonico e letterario portato avanti in dissonanza, appunto, con il mercato musicale, le cui pubblicazioni (prodotte da Rizosfera) si presentano come vinili accompagnati da testi, interviste, illustrazioni – assemblaggi musicali difficilmente ascrivibili al puro piano musicale.
Nelle (finora) sette variazioni caotiche possiamo sentire e leggere la messa in opera di questi assemblaggi, avere in mano e nelle orecchie oggetti ambigui, capaci di porsi al limite fra la fruizione e la rottura con tutto ciò che siamo abituati a chiamare, appunto, musica[2]; e questa messa in opera è già presente nel processo compositivo, il collettivo ha collaborato con diverse personalità musicali, da Howie B a Niconote, passando per Adi Newton e Mark Stewart.
La settima variazione caotica suona insieme a Zafer Aracagök /SIFIR, musicista filosofo, che nella sua esplorazione del pensiero ha trovato una prassi musicale – risonante e dissonante, Exaspéré Complètement – di composizione: suonare strati su strati, voci di nessuno e suoni ritmici, richiami al free jazz, sempre più free e sempre meno jazz.
Il richiamo situazionista è chiarificato nel titolo della seconda traccia (Everybody Wants To Be A Sombambulist Situationist), ma è appunto un situazionismo sonnambulo, liberato da quella intenzionalità che tanto ha colpito il pensiero distruttivo da portarlo a detournarsi su sé stesso: SIFIR suona l’esplorazione dello spazio sonoro in cui la propria presenza non è il fine, ma la condizione necessaria, ontologica per intraprendere un’onirica camminata sonora.
Desonance è quel che troveremo, voci su voci che si ripetono l’una con l’altra, l’una sull’altra, l’una per l’altra – è dal rumore che estraiamo oggetti sonori, brani musicali: potremmo ascoltare questi 7’44’’ ripetutamente, e ad ogni ascolto far risaltare delle differenze soniche, dei ritmi, dei significati tralasciati e da tralasciare.
Una variazione caotica, appunto, che pone nelle orecchie differenti modi d’ascolto, e lascia ascoltare voci e soggetti unici e impersonali: dissonanze sonore, cognitive, materiali – ogni brano è qualcuno, ogni parlante è sé e altro da sé. Voci che dovranno finire, suoni composti che compongono la vita dei brani con quella di chi li ascolta: Killing Oneself Is a Life Long Project.
«Non domandatemi chi sono, e non chiedetemi di restare lo stesso: è una morale da stato civile; regna sui nostri documenti. Ci lasci almeno liberi quando si tratta di […]»
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